Rivoluzione digitale (3 parte)

L’abbiamo chiamata Sinistra Italiana. Qualcosa si muove. Una ipotesi che vale anche per l’Europa. Verso la transizione possibileLa terza ed ultima parte del contributo di Sergio Bellucci
Rivoluzione digitale (3). L’abbiamo chiamata Sinistra Italiana. Qualcosa si muove. Una ipotesi che vale anche per l’Europa. Verso la transizione possibile

Andare oltre i limiti del capitalismo, oltre la sua inefficienza, oltre le sue diseguaglianze, oltre la rapina delle risorse che stanno mettendo in ginocchio i cicli di riproduzione naturale, oltre l’idea che il mondo sia pensabile e gestibile come una fabbrica, con le sue logiche produttive, oltre l’idea che il regno animale e vegetale siano due comparti di quell’unica grande corporation in mano all’umano capitalista: un’esigenza ancora oggi presente, anzi ancora più incessante di trent’anni or sono. Credo che il primo passo sia quello di superare le etichette che hanno diviso le forze del mondo del lavoro nel ‘900. Socialiste, comuniste, socialdemocratiche, sono etichette che non dicono più molto agli individui di oggi e, spesso, quello che dicono sono cose che non aiutano chi vuole continuare la lotta per la liberazione e la consapevolezza umana. Abbiamo bisogno di organizzare la politica che serve al mondo del lavoro di domani, quello che dovrà affrontare la battaglia dei processi di robotizzazione generalizzata, di cancellazione di una miriade di lavori classici. Il tema di oggi è sapere se la ricchezza prodotta dall’intero apparato produttivo mondiale dovrà essere  redistribuita attraverso il lavoro oppure no. Nel primo caso ci apriremo ad una nuova fase interessantissima di liberazione, anche per le nuove forme di lavoro e di produzione possibili, nel secondo caso avremo una società suddivisa tra un numero ristretto di lavoratori con scarse tutele e bassi salari, una fetta altrettanto grande di lavoratori precari senza tutele e una fetta estesa di persone che saranno stabilmente fuori dal ciclo produttivo a cui spetterà un salario di sopravvivenza. È questa la strada che l’Europa ha intrapreso. E poi ci si lamenta che le persone sono relegate ai margini, hanno riflussi di destra, si allontanano dalle lotte per i diritti e si scagliano contro i migranti. È il modello introdotto dalla normativa Bolkestein.

La sinistra dovrà costruire nuove forme di produzione, di socializzazione, di decisione

Noi abbiamo bisogno di una politica che sappia guardare al domani con una proposta radicalmente nuova. In primo luogo la sinistra di questo secolo non può essere semplicemente “rivendicativa”. Lasciare, cioè, il compito di guidare i processi di innovazione al capitale – sempre più, tra l’altro, basandosi sulla economia di condivisione, cioè sull’apporto diffuso della socialità – e limitarsi a rivendicare diritti e redistribuzione della ricchezza mettendoci ai margini del processo. La sinistra di questo secolo sarà una sinistra capace di costruire proprie forme di produzione, di decisione, di socializzazione da contrapporre alla produzione di merci. Produzione di valore d’uso contro la produzione di valore di scambio. Nel fare questo sarà possibile e necessario demercificare la forma della vita umana. Non misureremo le nostre società su parametri come il PIL.

Riuso, risparmio, rigenerazione, riduzione delle merci, monete sociali

Attività come il riuso, il risparmio, la rigenerazione, la riduzione delle merci saranno attività sociali  retribuibili con monete sociali di diversa circolazione, sul modello delle blockchain su cui ci si è basati per le monete come i bitcoin. Potremmo reingegnerizzare le forme sociali basandoci sulle potenzialità della rete, soddisfacendo bisogni sempre più immateriali, riducendo l’impronta umana sul pianeta e riducendo lo spazio della vecchia forma della produzione dell’era capitalistica. Consumeremo il possibile a Km0, produrremo molte delle merci necessarie in spazi sociali che abbiano strumentazioni 3D e quelle che non potremmo produrre saranno scambiate attraverso le forme della condivisione con altri luoghi che baseranno lo scambio sempre più senza le transizioni classiche. Siamo noi che non avremo più bisogno del capitale, non lui delle persone.  Questa è la transizione possibile. Il ripensare le nostre società dalle fondamenta. Oggi è possibile e realizzabile perché c’è una nuova generazione in campo che è veloce, digitale e pronta ad un cambiamento di paradigma che la vecchia politica stenta a comprendere. Marx pensava ad un futuro poggiato sui liberi produttori associati.  Penso che questo sia il destino che abbiamo davanti. Le innovazioni che necessitano per arrivare a quel livello di libertà ora possiamo intravvederle. 30 anni fa era impossibile. In quel tipo di società posso calare la più bella visione del comunismo di Marx quando, nei Manoscritti economico-filosofici del ’44, ci fa comprendere come il comunismo sia per lui l’educazione dei 5 sensi. Cioè una società in cui la consapevolezza del singolo sia integrale.

La crisi non può essere superata con il governo della moneta. Illusione della politica

L’illusione della politica è che questa crisi possa essere superata attraverso il governo della moneta. Anni di ricette liberiste hanno prima creato le premesse della grande crisi del 2008 e poi ridotto i livelli di welfare in Europa senza significative redistribuzioni di ricchezza nei vari Sud del mondo. Anzi, la disperazione sembra essere aumentata. Alla crisi strutturale, l’incapacità di tornare a produrre ricchezza da redistribuire  in maniera sistemica, si è risposto con l’illusione che ci si possa salvare da soli. In Europa le politiche della Germania hanno ipotizzato la possibilità di divenire l’unico vero paese industriale del continente, senza fare i conti che indebolendo le economie degli altri paesi europei la debolezza strutturale della domanda interna nazionale ed europea avrebbe garantito solo alcuni anni di benessere, ma a scapito di un peggioramento sociale e politico di tutta l’area Euro con le conseguenti ricadute politiche ed economiche nel medio periodo. Un quadro che si sta consolidando ad una velocità crescente. L’Inghilterra pensa ad uno sganciamento dal quadro europeo con la stessa miopia e le politiche monetarie della BCE non sono riuscite a invertire il quadro deflattivo e quello di crisi dei paesi dell’Europa mediterranea. Senza la ripresa di un po’ di inflazione arriveremo alla fine del mandato di Draghi con una nuova sterzata monetarista che aggraverà molto il quadro della situazione. Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha anticipato, in un recente viaggio in Italia, la linea del dopo Draghi: fine del sostegno ai debiti pubblici da parte della Banca Centrale Europea e ripristino delle semplici regole liberiste della concorrenza.

Non  si può garantire un futuro solo al proprio paese. Servono collaborazione e pace

Una nuova illusione di garantire un periodo di ripresa all’economia tedesca sganciata dai destini degli altri paesi europei. Ma è lo stesso che l’Europa nel suo complesso sta facendo verso il Medio-Oriente e l’Africa. Non c’è salvezza se non attraverso la collaborazione e la pace. E non è possibile garantire un futuro solo al proprio paese. È una visione, oltre che sbagliata sul piano etico-morale, miope e inefficace dal punto di vista di garantire una vera fuoriuscita dalla malattia che sta corrodendo il tronco sul quale siamo tutti poggiati. Nell’isolamento nazionale e nella politica monetarista non è possibile invertire o uscire dall’attuale crisi strutturale e sistemica. La sinistra, in primo luogo quella europea, deve sganciarsi da questa illusione. Servirebbe un grande incontro, una grande assise per rilanciare una prospettiva diversa e superare le fratture in avanti. La crisi sistemica  è un intreccio della crisi monetaria e finanziaria, del grande cambiamento introdotto dalle trasformazioni che il digitale sta producendo e, per complicare ancor di più il quadro, tutto il fare umano deve fare i conti con le compatibilità che l’astronave Terra ci ha segnalato. L’accordo COP21 di Parigi ancora non si è integrato con le scelte di politica quotidiana. Esattamente come la trasformazione introdotta dal digitale. La politica continua a parlare solo di moneta e finanza e delle sue compatibilità. Una visione miope e incapace di indicare una via e scaldare i cuori. Per questo serve una “transizione”…

Da Podemos al Labour di Jeremy Corbyn, a Bernie Sanders negli Usa

La crisi che investe la sinistra in Italia è una crisi profonda, una crisi che deriva, in qualche misura, proprio dalla forza che essa ha avuto nella storia dell’Italia repubblicana. Le strutture che ancora sono in piedi, e sono ancora molte e sufficientemente forti, tendono a comportamenti inerziali, a proseguire sulla stessa strada. Invece abbiamo bisogno di grandi novità, di nuove analisi, di nuove pratiche. Qualcosa si sta muovendo. Il processo che si è aperto per la costruzione di un nuovo partito, Sinistra Italiana, sta provando a raccogliere le forze disponibili ad una partenza di nuovo tipo. A Febbraio abbiamo tenuto una grande assemblea nazionale delle persone, delle associazioni, delle forze politiche che fanno riferimento alla sinistra. L’abbiamo chiamata Sinistra Italiana che ha un acronimo che in Italia suona bene SI. Abbiamo provato a innovare sia nelle forme della convocazione, sia in quelle della discussione, della individuazione di un punto di coordinamento e ha adottato una piattaforma digitale per la militanza. Certo c’è bisogno di un grande sforzo, ma qualche tassello si inizia a vedere. Come in altre parti d’Europa. Penso al dialogo tra Podemos e la sinistra tradizionale in Spagna, ad esempio. Penso alle novità del Labour inglese diretto da Jeremy Corbyn o del confronto nelle primarie USA tra la linea della Clinton e quella di Bernie Sanders. Penso al nostro tentativo di Sinistra Italiana, ma anche a quello di personaggi come Varoufakis.

Manca una visione complessiva e innovativa, salda nella radicalità della ricerca

Insomma, qualcosa si muove, ma ancora troppo lentamente e soprattutto troppo spezzettato. Manca non tanto lo sforzo di una ricerca, ma una visione complessa e innovativa che sappia essere inclusiva delle diversità, ma salda nella radicalità della ricerca. Credo che per la storia della sinistra italiana, per le radici sociali profonde che ancora esistono, per il ruolo che il nostro paese può tornare a svolgere, non solo sul piano della elaborazione ma anche su quello della proposta e delle alleanze, la costruzione di una Sinistra Italiana forte possa determinare anche un rilancio della stessa ipotesi europea. Negli anni ’70 dal PCI venne avanti la proposta dell’Eurocomunismo che cambiò la storia della sinistra in Europa. Chissà che non sia proprio dalla attuale crisi della sinistra italiana che emerga una proposta di una transizione per le società europee. La transizione possibile…

*Sergio Bellucci, presidente della associazione Net Left

(fine)