Il Post Capitalismo ed il Digitale

L’Avvento del digitale nella società, nell’economia, nel lavoro: come è cambiato il conflitto Capitale Lavoro di Francesco Tupone

 

Premessa:
Una formazione politica che voglia innestarsi nel solco del movimento operaio del novecento, e tenti di interpretare le trasformazioni della società nel nuovo millennio, non può che basare la sua analisi sui profondi effetti dell’innovazione tecnologica sul ciclo produttivo, sugli stili di vita, sulle relazione tra esseri umani, sul rapporto uomo e natura, sulla sfera della comunicazione, su tutto l’immaginario, modificando la stessa percezione del senso della vita.

L’attuale fase capitalistica
A partire dalla fine dell’esperienza del socialismo reale, sono terminate le necessità di contenere la spinta del movimento operaio, e si è chiuso il periodo contraddistinto dal compromesso capitale-lavoro, basato sul tentativo di inibizione della competizione tra capitali internazionali ed il sostegno alla domanda per reggere il consumo, garantendo diritti e potere d’acquisto alla classe lavoratrice.
Modificate le condizioni geopolitiche, il capitalismo ha ripreso a correre, portando ad una esasperazione del conflitto di classe e quindi ad una storica sconfitta del movimento operaio. Un ruolo predominante ha avuto l’innovazione tecnologica che ha pervaso il ciclo produttivo, ha trasformato i rapporti tra le classi, ha reciso ogni freno inibitorio da parte dei rappresentanti del capitale e della finanza e innescato il cosiddetto “turbocapitalismo”.

E’ ripresa la competizione tra capitali e si è passati da un modello economico basato sulla domanda interna ad uno basato sull’esportazione, sulla conquista dei mercati internazionali, sulla libera circolazione di merci e capitali.
L’innovazione tecnologica nel ciclo produttivo si è sostanziata nell’aumento incessante della Composizione organica del capitale e del saggio di sfruttamento (tramite anche lo spostamento della produzione in paesi dove i salari sono più bassi).
Non è più interesse del capitale sostenere la domanda interna (e quindi mantenere i salari sopra una certa soglia), ma solo aumentare la produttività e diminuire i costi di produzione e distribuzione per rimanere competitivi sui mercati internazionali.
Flessibilità, perdita dei diritti, precarizzazione, frammentazione del mondo del lavoro, delocalizzazione, disoccupazione di massa, sono questi gli effetti, visibili da parte di tutti, della lotta di classe vinta dal capitale.
Sono state modificate le Costituzioni dei paesi democratici, sia quelle reali che quelle formali. E’ sempre più chiara la perdita di sovranità democratica, il potere dal popolo passa ad organismi tecnocratici non eletti e non rappresentativi di istanze democratiche, le stesse finalità delle grandi Istituzioni nazionali e transnazionali sono modificate (gli obiettivi delle Banche Centrali sono passati dai nobili scopi della ricerca del “pieno impiego” alla semplice finalità della “stabilità dei prezzi”). Anche il potere di spesa (esercitato con il governo dell’emissione della moneta) si trasferisce dagli Stati (soggetti alla sovranità dei popoli) ad Enti transnazionali sottoposti al potere finanziario.
Il capitale ha utilizzato tutti gli strumenti che l’innovazione tecnologica ha fornito: per accelerare la sua pervasività e l’invasione di tutti i settori dell’esistente.

Internet, la rete, la digitalizzazione hanno permesso non più solo scambi di informazioni, ma la creazione di un enorme mercato di produzione materiale ed immateriale, le grandi aziende ne hanno approfittato per fornire servizi, spesso gratuiti, che in verità utilizzano il nostro lavoro non pagato, il cosiddetto “lavoro implicito”. Famoso è il detto: “Se il servizio è gratis, il prodotto sei TU”.

Tramite una raccolta di dati enorme, le grandi aziende possono realizzare la profilatura di tutti i cittadini che si affacciano su internet, consentendo il controllo ed il condizionamento, diretto o indiretto, della volontà di consumo, e quindi riescono ad indirizzare la produzione: il digitale ed internet sono diventati in breve tempo la vera infrastruttura di base per il ciclo di produzione, distribuzione e consumo. Ma non è solo una questione direttamente economica, la digitalizzazione e virtualizzazione delle nostre vite ha modificato il nostro modo di relazionarci con gli altri e quindi ha modificato la stessa percezione che ognuno ha di sé, il modo di pensare, di immaginare, il senso della vita, i valori fondanti la nostra esistenza.

L’insufficienza della sinistra tradizionalista
Lo scenario rappresentato è già il presente ed è uno scenario che ci vede apparentemente senza grandi speranze, perché la politica, e soprattutto la politica che vuole rappresentare i “subalterni”, i produttori di valore, i lavoratori, il mondo della politica che si definisce progressista e/o di sinistra, non ha più grandi armi a disposizione:

– Non ha strumenti di lotta
Lo sciopero, nella società della fabbrica delocalizzata, non ha più il potere di fermare la produzione; la mobilitazione di massa, nella società della comunicazione condizionata da chi controlla i media mainstream, diventa difficilmente attivabile e non riesce più ad essere decisiva.

– Non ha strumenti di analisi
La maggior parte del ceto dirigente dei partiti di sinistra, ma anche degli stessi militanti, rifiutano di analizzare l’innovazione, non la capiscono. Peggio ancora, essendo consapevoli che su questo terreno non sono in grado di fornire contributi validi, di occupare spazi, di assumere ruoli decisivi, rimangono volontariamente imprigionati in logiche vecchie, osteggiando l’innovazione della politica.

– Non ha più una “visione”
In un mondo dove anche i desideri sono condizionati e indotti, dove il senso della vita è fornito da chi controlla il ciclo di produzione e di consumo, diventa difficile imporre un pensiero egemone ed autonomo, immaginare un modello di società che davvero riesca a convogliare gli interessi e i desideri dei “tanti contro i pochi”, degli sfruttati contro gli sfruttatori, dei lavoratori espliciti ed impliciti contro le grandi corporation, del 99% contro l’1%, un modello che riesca a tutelare ambiente e natura e che cambi il paradigma dello sviluppo quantitativo.
L’unica visione critica rimasta nella sinistra tradizionalista è, paradossalmente, quella del disvelamento del tradimento delle promesse del capitalismo, non viene criticato come assetto economico sociale, ma si fanno proprie le sue promesse. Il liberismo viene contrastato assumendo in sé le logiche dello sviluppo capitalista: viene criticato perché non è più in grado di fornire “lavoro salariato”, non permette più il “consumo opulento”, si cercano soluzioni compatibili per rimettere in carreggiata un modello di sviluppo che invece dovrebbe essere combattuto perché instabile, alienante, ingiusto e foriero di crisi, guerre e distruzione della natura e dell’ambiente.

C’è bisogno di una nuova sinistra, che si erga in contrasto alle nuove contraddizioni dell’assetto capitalista
E’ possibile invece immaginare una formazione politica adeguata ai tempi, che faccia della consapevolezza e della razionalità le sue prime fondamenta: l’innovazione tecnologica esiste e il dilemma non è se questo sia un fatto positivo o negativo, occorre, invece, comprendere semplicemente che se l’innovazione sarà governata dal nuovo proletariato, dai nuovi soggetti produttori di valore, dai nuovi lavoratori espliciti ed impliciti, dai prosumer (i consumatori produttori), allora la tecnologia sarà fonte di emancipazione e liberazione, se invece sarà gestita dalle grandi corporation, allora sarà fonte di dominio, controllo ed oppressione.

Il lavoro nell’era digitale
La produzione dei beni e servizi prevede sempre due attori:
l’imprenditore che mette a disposizione il Capitale (per dotarsi di Mezzi di produzione, di materie prime e semilavorati, di salari) ed i lavoratori che forniscono la prestazione d’opera.
La natura del Capitalismo prevede che la produzione di beni e servizi si attui secondo il lavoro salariato. Il lavoro salariato è quindi un costo per il Capitalismo, che va ridotto.
Ma il lavoro salariato è una attività “alienante” per il lavoratore (è una prestazione che è costretto a fare per la sussistenza, finché si riduce a “lavoro salariato” il lavoro non può essere considerato come un’attività che realizza aspirazioni, che rende piena la vita), e quindi anche il lavoratore tende a ridurre l’entità del lavoro salariato.
La grande e fondamentale funzione storica del Capitalismo è stata sempre quella di diminuire il tempo di lavoro necessario alla produzione sostituendolo con le macchine (la sostituzione del lavoro vivo con le macchine è stato il motore principale per estrarre plusvalore e raggiungere un margine superiore di profitto nella competizione tra capitali), una funzione positiva che ha sottratto alla schiavitù della “fatica” miliardi di persone nel mondo
Oggi siamo giunti alla fine di quel percorso, quando ormai nelle società avanzate il contributo del lavoro non è che solo il 3% significa che una fase è finita. Il futuro sarà migliore? Non è detto, il futuro non è scritto, ma è certo che se i lavoratori, se le organizzazioni che rappresentano gli interessi e le aspirazioni dei “produttori di valore” non acquisiranno la giusta consapevolezza e non modificheranno le strategie di contrasto al “capitalismo” e le strategie di costruzione di una nuova società, sarà scontato che il futuro, guidato dal Capitale, non potrà che essere peggiore, ma al contrario si possono aprire nuove contraddizioni e nuove prospettive di liberazione.

La produzione immateriale (informazioni, software, servizi, app, algoritmi, musica, film, …) ormai già da alcuni anni per i paesi più avanzati ha sopravanzato il valore della produzione materiale, le più grandi Aziende mondiali sono produttori sostanzialmente di beni immateriali.
I beni immateriali hanno una semplice caratteristica, sono riproducibili praticamente senza costi aggiuntivi, una volta realizzato un bene immateriale, non costa nulla riprodurne uno, mille o un miliardo.
Ma se andiamo a vedere anche nella produzione classica “materiale” la componente immateriale è la più importante: nella progettazione, in una linea di montaggio, in un sistema di logistica, nei sistemi di trasporto, nella rete di distribuzione, la parte informativa, la comunicazione, il software, l’analisi dati, è come se la parte materiale sia l’ultima propaggine di un processo che è quasi totalmente immateriale.

Quindi la modalità di produzione a cui stiamo assistendo è quella dove l’essere umano è sostituito dalle macchine, dove una volta realizzato un prototipo, per la produzione di massa non serve più ulteriore lavoro, insomma una modalità dove chi produce può fare a meno del lavoro, o comunque il ruolo del lavoro è, e sarà sempre minore e residuale.
Il rapporto tra Capitale e Lavoro non è più un rapporto di conflitto dove il “Lavoro” possa esercitare funzioni di controllo e cogestione, o almeno possa contrattare con il Capitale modalità produttive e forme di organizzazione del lavoro, il “come produrre” se non addirittura il “cosa produrre”.
E’ un cambio di paradigma storico che rende obsolete tutte le forme di lotta precedentemente sperimentate, anche lo sciopero perde il valore che per due secoli aveva rappresentato, diventando una forma di “comunicazione”, che misura il consenso verso obiettivi e piattaforme sindacali, è ancora uno strumento utile ma profondamente depotenziato.

Per poter reagire e trovare forme di contrasto è necessario comprendere che il Capitale vuole una produzione senza Lavoro (e sta raggiungendo l’obiettivo) e che quello che sta avvenendo è un passaggio critico dalla forma dello sfruttamento alla forma del dominio.
Occorre allora analizzare le nuove contraddizioni della nuova fase capitalistica e studiare le nuove leve su cui poggiare la capacità di contrastare il nuovo dominio e costruire un mondo migliore

Nuove contraddizioni e nuove opportunità
Invito tutte/i a leggere il libro di Paul Mason: Postcapitalismo che spiega bene la crisi inevitabile del Capitalismo tanto che la fase che gli succederà viene chiamata appunto PostCapitalismo, una forma nuova che non sappiamo come sarà, forse più vicina al Feudalesimo se noi non riusciremo a contrapporre invece forme di Umanesimo Economico, sociale e culturale.

Paul Mason riprendendo la teoria del valore di Marx dimostra che la produzione senza lavoro, produce beni senza “valore”, rendendo impossibile la valorizzazione dei capitali se non con la costrizione: già oggi molte delle merci che acquistiamo hanno un prezzo dovuto dall’imposizione di proprietà intellettuali, da leggi sul diritto d’autore e brevetti che giuridicamente reprimono la libera disponibilità della tecnologia.

Ma quali sono i mezzi di produzione nella produzione immateriale: i computer? le reti? i cavi? i router? i data center? Ma questi sono cose a disposizione di tutti o quasi, non sono più appannaggio esclusivo dei grandi Capitali, il vero mezzo di produzione è la conoscenza, il sapere, gli algoritmi. Ma dove risiedono gli strumenti della conoscenza? Sono nelle nostre teste, nelle teste dei nuovi produttori di valore, mezzi di produzione e lavoro sono potenzialmente appannaggio delle persone: potenzialmente una comunità “agente” è in grado di unire a se’ tutti i fattori della produzione (digitale) mezzi di produzione e lavoro, è la prima volta nella storia.

Il digitale da mezzo di controllo e dominio a strumento di liberazione
Il digitale assume quindi caratteristiche abilitanti, impensabili fino a qualche decina di anni fa.
In alcuni settori, che tuttavia sono centrali nello sviluppo futuro, al fine di realizzare una produzione alla portata di tutti, occorre solo organizzare il sapere ed il lavoro, utilizzando le nuove modalità tipiche della rete, condivise e collaborative.

Nella produzione immateriale e materiale si prefigurano due scenari contrastanti:

1) Uno scenario apocalittico, purtroppo ancora il più probabile, quello a cui i rapporti di forza ed i livelli di (scarsa) consapevolezza e di organizzazione sembrano consegnarci: una società dove la produzione è un’esclusiva del capitale, senza bisogno del lavoro, o dove il lavoro assume un ruolo marginale, una società dove l’automazione spinta è egemonizzata dalle grandi corporation e la stragrande maggioranza della popolazione è relegata al ruolo di consumatori passivi.
2) Uno scenario di liberazione, frutto di consapevolezza, organizzazione, cooperazione e condivisione: una società dove la produzione fa sostanzialmente a meno del capitale, dove la produzione è decisa dalle comunità, dove il sapere e la tecnologia condivise forniscono a i mezzi di produzione necessari. Una società dove finalmente la produzione è messa a servizio dell’umanità e il lavoro non sia esclusivamente di tipo salariato.

E’ oggi possibile contrapporre al Capitale che produce senza Lavoro, un Lavoro che produce senza Capitale, anzi del Lavoro “liberato” che produce senza Capitale

Nuovi obiettivi
Cosa si impone quindi oggi per chi vuole rappresentare le istanze di liberazione dei subalterni, dei produttori di valore, dei lavoratori dipendenti e precari?
Occorre promuovere la libera disponibilità della tecnologia.
Non è solo un fattore culturale ma economico, sociale e politico, in passato eravamo pronti a batterci per socializzare i mezzi di produzione, oggi non serve togliere niente a nessuno, serve mantenere libero il sapere e la conoscenza (c’è e ci sarà senz’altro una reazione ma non così violenta come in passato)

In questo contesto appare prioritaria quindi da parte delle formazioni politiche di sinistra la difesa delle libertà digitali. Attenzione, il termine corretto è proprio libertà digitali e non, solo, diritti digitali. Nella produzione digitale ed immateriale (ma abbiamo visto che tende ad avere analoghe forme anche la produzione materiale) gli strumenti e i mezzi materiali di produzione sono ormai alla portata di una ampia fascia di popolazione, ciò determina la possibilità della produzione diretta di beni da parte di moltissimi lavoratori cognitivi.
Il nuovo rapporto di competizione che può stabilirsi tra produttori/lavoratori organizzati e possessori di capitali, grazie alla minor influenza del capitale nel possesso dei mezzi di produzione di beni immateriali, fa assumere al concetto di Libertà un ruolo prioritario rispetto al concetto di diritto digitale.
Non si vuole sottovalutare il ruolo fondamentale dei Diritti Digitali, che rappresentano una nuova forma di diritto di Cittadinanza e di Democrazia, il diritto dei cittadini a non essere esclusi dalla comunicazione, dalla rete, e quindi dalla partecipazione e dalla conoscenza. Ma il concetto di Libertà Digitale è ancora più importante: “si tratta di affermare la possibilità di utilizzare liberamente le tecnologie, di disporre degli strumenti dati dall’informatica, dalla scienza e dall’automazione per emanciparsi, per costruire e realizzare progetti, per produrre ed autoprodurre beni e merci, per essere liberi di scambiare idee, condividere cultura ed arte, sviluppare conoscenza e sapere, accrescere la preparazione e la formazione comune, diffondere informazioni e comunicare con tutti, per elevare la condizione umana, delle persone e dei popoli.”

Si tratta, in pratica, di difendere la grande opportunità di liberazione a noi data dal progresso tecnologico, per progettare e costruire un nuovo modello di sviluppo centrato sulle esigenze della stragrande maggioranza della popolazione e rispettoso della natura e dell’ambiente.

Nuova forma di organizzazione
Una nuova formazione politica che scelga di affrontare la sfida all’altezza dei tempi dovrà basarsi sul paradigma digitale, nell’analisi e nella strategia, nella proposta e nel programma, nella definizione degli obiettivi e nelle modalità di azione, nell’organizzazione e nella forma di partecipazione.

Occorre che faccia propri i valori più nobili della rete, che hanno caratterizzato le comunità che negli ultimi anni hanno realizzato le più grandi opere digitali mai costruite a favore dell’umanità, come Wikipedia o il software libero, riassumibili in cinque grandi valori: La Condivisione, la Trasparenza, la Cooperazione, la Solidarietà attiva e l’Auto-Organizzazione.
Sono questi i valori che contraddistinguono tutte le azioni e tutte le esigenze di chi partecipa oggi alla vita sociale e civile del mondo:
La Condivisione è un elemento che caratterizza i movimenti progressisti del mondo, è un valore che viene preteso ormai da tutte e tutti, come base per la decisione, l’azione, la costruzione. E’ il valore che nell’epoca del digitale ha impedito che il sapere e la conoscenza fossero “privatizzati”. Tramite il sistema delle licenze “libere ed aperte” è stato possibile realizzare le più grandi opere che l’umanità ha costruito: la grande Enciclopedia Wikipedia, il sistema operativo GNU-Linux, la grande raccolta di software libero e open source, le opere con permesso d’autore (Creative Commons), un patrimonio culturale inalienabile e sempre e per sempre disponibile a tutte le donne e gli uomini del mondo.
La Trasparenza è diventata una esigenza indispensabile per poter essere attivi e partecipare ad un progetto comune. Così come la Cooperazione è l’unica modalità per i subalterni per raggiungere obiettivi comuni. Oggi sono messi in crisi i principi di autorità, non ci si affida più ad un leader o a classe dirigente, ma gli unici che possono aspirare ad una leadership sono coloro nei quali è possibile verificare credibilità, autorevolezza, competenza ed esempio.

La Solidarietà e l’Auto-organizzazione sono gli altri valori fondanti delle comunità: generosità, dono, lavoro comune (non salariato), mutuo soccorso, sono le caratteristiche delle opere comuni sin dagli albori della civiltà.

Nuovi obiettivi
Sulle basi delle analisi e delle modalità organizzative suggerite, non è difficile comprendere quali possano essere le modalità di approccio per formulare proposte, trovare soluzioni efficaci di lotta e costruire progetti di liberazione.
Il capitalismo nell’era digitale è un assetto che non funziona più, caratterizzato non solo da crisi e stagnazione secolare, ma anche foriero di pericoli di un nuovo Medio Evo. Ma come cambiare?
Non è opportuno abbattere il capitalismo, ma conviene destrutturarlo, superarlo “girandogli attorno”.
Togliere i mezzi di produzione e la ricchezza ai Capitalisti è un’operazione che, quando è stata tentata, ha richiesto il sangue e la morte di milioni di persone. Troppo devastante è stata e sarebbe la reazione che le forze al potere sono disposte a mettere in campo (guerre, attentati, uccisioni mirate) pur di sventare questa possibilità.
Oggi però si può operare in modo diverso, meno impattante nell’immediato, ma più difficilmente contrastabile, e sicuramente meno sanguinoso, che riesca a rendere superflui e inessenziali la ricchezza e i mezzi di produzione in mano ai Capitalisti. E’ questa un’operazione che, seppur difficile, è estremamente più semplice della prima. Occorre progettare e proporre pratiche di mutualismo, autoorganizzazione e autoproduzione che nella società realizzino e/o alludano, nel concreto, la società del futuro, l’economia della vera condivisione.

Le nuove formazioni politiche non potranno più essere solo la sponda per le organizzazioni sociali e culturali, ma dovranno promuovere ed incoraggiare direttamente nuove iniziative basate sulla produzione diretta di beni e servizi a diretto valor d’uso, forme nuove di produzioni, di tipo cooperativo e condiviso, che sperimentino forme di lavoro non salariato.
produzioni in modalità open source, non solo nel software, ma che consentano una libera fruizione della tecnologia e dei prodotti tecnologici.

Se ad esempio Facebook è il luogo virtuale dove si realizza la propria identità sociale e relazionale, ma perché non è possibile creare e realizzare una nuova piattaforma di comunicazione e relazione più aperta, trasparente e libera?
Se Youtube è la biblioteca del nuovo millennio perché non pensare ad una biblioteca pubblica universale delle immagini?
Guardiamo alle aziende ed ai prodotti della sharing economy, come UBER o AirBnB, ma anche Amazon o i portali di ecommerce, è tanto complicato incoraggiare la nascita di comunità open source di sviluppatori ed utilizzatori che realizzi una piattaforma per un trasporto, od una ospitalità, veramente autoorganizzata dai cittadini?
Perchè non proporre in ogni quartiere le FabLab, le fabbriche condivise, o piattaforme di scambio di beni o servizi dove il valor d’uso sia prevalente rispetto alla mercificazione?
Dopo l’esperienza di Tsipras molti di noi hanno visto nelle pratiche di mutualità una forma per rispondere in maniera autoorganizzata ai bisogni degli strati sociali più disagiati, che alludesse ad un costruendo modello di società da realizzarsi dopo aver preso le redini del governo. Ecco, nonostante i gravi problemi che hanno dovuto subire il popolo greco ed il suo nuovo governo, la strada è quella giusta, ma bisogna fare di più e utilizzare tutta la potenzialità che il digitale ci mette a disposizione, organizzare e incoraggiare le comunità agenti, affinché inizino a realizzare obiettivi che risolvono o quantomeno allevino le difficoltà del vivere degli strati subalterni, e che al contempo alludano al mondo nuovo a cui tendere, ma che allo stesso modo siano autonome nello sviluppo, senza incorrere nel pericolo di sottostare ai ricatti internazionali o dei poteri forti interni od esteri.
Fino ad arrivare alla sfida più grande: la realizzazione di una Moneta Sociale Digitale.
Una Moneta in grado di utilizzare le tecnologie già disponibili e sicure, basate sulla blockchain come BITCOIN, che garantiscono sicurezza negli scambi finanziari, ma che perda ogni relazione di convertibilità rispetto alle monete tradizionali, e che accompagni una nuova concezione della ricchezza e del rapporto tra ricchezza e lavoro sociale, sia nella forma esplicita sia implicita del lavoro.
Una Moneta Sociale e Comune che romperebbe il monopolio della finanza da parte delle elite tecnocratiche e che sarebbe in grado di restituire la sovranità economica alla collettività.

Ricordiamo che i valori della cultura hacker, delle comunità che hanno imposto il software libero nel mondo, sono i valori dell’unica esperienza che è riuscita a contrastare in maniera vincente le pratiche e le ideologie del neoliberismo, che è riuscita a sottrarre alle logiche pervasive del capitale la diffusione della conoscenza, evitando la completa mercificazione di software, sistemi operativi e applicazioni, garantendo libero accesso alla conoscenza e alla tecnologia ad ampi strati della popolazione mondiale.

Il cambio di paradigma risolve le controversie
Tramite il nuovo paradigma della produzione (e autoproduzione) basata sulla condivisione e cooperazione, tutte le contrapposizioni tra i movimenti progressisti del passato, come quelli dei liberaldemocratici, cristiano sociali, socialisti e socialdemocratici, anarchici, ambientalisti e comunisti si possono risolvere e riconciliare. Si cambia prospettiva senza ripudiare i valori del passato:
– La contrapposizione tra libertà borghese e rivendicazione dei diritti da parte dei lavoratori può essere risolta. La libertà nell’epoca del digitale e dell’autoproduzione condivisa assume solo il valore positivo, e non più quella della libertà borghese (la produzione capitalistica ha imposto le figure dell’imprenditore “libero” e del lavoratore “sfruttato”). La libertà di produrre si può estendere a tutti, non solo ai possessori di capitale, diventa anche la libertà di autoprodurre e assume quindi solo il valore nobile di libertà di essere protagonisti e di poter scegliere;
– la produzione potrà essere “comune” e decisa insieme senza ricorrere alle degenerazioni imposte dalla pianificazione. Non è possibile e non è giusto imporre cosa e quanto produrre, ma le tecnologie permettono una programmazione ed una regolazione condivisa
– può essere risolta la contrapposizione tra riformismo e rivoluzione, le nuove opportunità offerte dal digitale possono essere utilizzate per costruire sin da subito una società nuova, che sperimenti ed alludi ad un modello di sviluppo diverso, ma allo stesso tempo riformare progressivamente l’esistente;
– le nuove forme di produzione ed autoproduzione potranno essere al servizio dell’uomo e ecocompatibili, rispettose dell’ambiente e dell’umanità, condivise e creative, individuali e collettive, solidali ed eque, dove una buona parte della ricchezza, sarà di per se’ riproducibile e quindi immediatamente ridistribuibile a tutti.

Conclusioni, scenari e proposte
Il futuro che ci si prospetta sarà formato da una società dove regnerà la disoccupazione di massa, oltre all’1% ricco e potente, la vecchia classe media, con stipendi fissi e contratti continui, sarà una minoranza, un grande strato della popolazione sarà spinta al non lavoro e la parte maggioritaria della popolazione vivrà uno stato di costante precarietà lavorativa.
Ma non sarà semplice relegare il nuovo precariato metropolitano, istruito e culturalmente preparate, alla rassegnazione a vivere in un mondo opprimente. Il nuovo precariato è la nuova leva per costruire un futuro migliore, se solo riusciremo a organizzare una formazione politica che sia consapevole e razionale, capace di analisi e progetto, che si organizzi nei modi adeguati e partecipati, all’altezza dei tempi e delle sfide.