Documento preparatorio coordinamento nazionale 5 luglio 2014
Per una nuova partenza
È la crisi di un nuovo capitalismo
Superiamo le divisioni del ‘900, ma non tentando una “riunificazione”, ma partendo da una nuova analisi (casomai ci si dividerà su questo, ma non sul passato…). Non è importante stabilire se avevano ragione Turati o Togliatti, Nenni o Saragat, Craxi o Berlinguer. O se aveva ragione l’operaismo o i riformisti. Nella idea di costruire una società diversa da quella capitalistica hanno fallito tutti.
Non basta l’indignazione.
Essere indignati contro il capitalismo che rapina il Sud del mondo, che impoverisce chi lavora, che precarizza le vite, che toglie dignità alle persone, che inquina il mondo e rapina le risorse, che industrializza la vita e la piega alla mercificazione, che medicalizza le nostre vite per lucrare sulle nostre ansie e debolezze, che controlla ogni aspetto della nostra vita come un grande fratello togliendoci la privacy e la possibilità di “pensare” un altro mondo attraverso l’industria di senso, è solo una premessa per fare politica. Rispondere con le lotte e le autorganizzazioni a questi problemi è giusto, sacrosanto, obbligatorio, ma non più sufficiente. Ogni movimento pensa di ritagliarsi e partire dal suo specifico perché il modello di politica che ha vinto è quello dello scambio, anche a sinistra. Ora serve un salto di qualità “politico”, cioè capace di ricomporre nella logica queste lotte e dare un “senso” complessivo ai processi in movimento.
Non basta la conquista di piccoli spazi di autonomia
Per moltissimo tempo, negli ultimi 20 anni, abbiamo pensato che moltiplicando gli spazi di autonomia questi si sarebbero ricomposti provocando un salto di qualità nella capacità di opporci a questo capitalismo. Oggi sappiamo che non solo questo non è accaduto, ma che ogni singolo spazio ha rivendicato e rivendica rapporti con la rappresentanza decisionale istituzionale con meccanismi di mero voto di scambio. Tutto questo rappresenta la degenerazione della forme della politica.
Serve l’apertura di un nuovo orizzonte
Non basta indicare l’uguaglianza nell’era dello sviluppo delle individualità, né soccombere all’individualismo. Occorre rilanciare l’assunto marxiano: “da ognuno secondo le proprie possibilità a ognuno secondo i propri bisogni”. Serve ridare spazio a “specificità integranti”, che non separino lo spazio del politico, ma ne facciano assumere la dimensione della particolarità come elemento qualitativo del tutto.
Nell’apertura di orizzonti dobbiamo avere la capacità inclusiva di sussumere “il senso” e indicare il percorso. Sul tema dello sviluppo, ad esempio, dobbiamo sapere che abbiamo due terreni: il primo è palpabile: la finitezza delle risorse nel determinato periodo storico e la loro compatibilità con i circuiti vitali e il diritto di tutte le specie viventi alla loro vita non industrializzata. L’altro è la “logica” che esiste dietro l’accelerazione di questa crescita. Esiste una “alternativa”. La si vuole “cercare” e “praticare”?
La decrescita, ad esempio, è stata volutamente contrastata più per la logica dello scontro interno (che occupa il 95% delle nostre energie dagli anni ’80…. Dobbiamo saper cogliere il senso profondo del suo messaggio: il mondo non può crescere all’infinito… (secondo la logica produttiva del capitale) ma può crescere in formato relazionale.
Bisogna introdurre un nuovo orizzonte: Il Welfare delle relazioni, un modello di vita “alternativo” che conquisti la sua possibilità di farsi stato.
Oppure la guerra e la lotta per la pace. Nel nuovo mondo si configura come estensione delle potenzialità del controllo digitale del pianeta e della automazione robotica delle armi. La guerra digitale è la più pervasiva, ubiqua e devastante (perché personalizzabile) guerra mai sperimentata prima d’ora. E la lotta per la pace si apre ad un nuovo capitolo…
Servono parole nuove
Contro la caduta tendenziale del saggio del significato. Per raccontare il percorso di cui abbiamo bisogno c’è la necessità di avere nuove parole. Le vecchie sono consunte. Allora bisogna lavarle dalla polvere e restituire brillantezza. Grande compito dei comunicatori i sinistra. La mia opinione è quella di riuscire ad utilizzare le parole che rappresentano l’innovazione del momento e ricondurle allo spirito della idea di sinistra. Non è particolarmente difficile. Prendiamo la rete. Le parole principali della rete sono: condivisione, co-operazione, autogestione, consapevolezza, collaborazione. Il modello che tali tendenze stanno prospettando è quello del passaggio dall’era della proprietà a quello della fruizione. Proprio la rete rende possibile il passaggio dal principio della proprietà a quello della fruizione/cooperazione. Basterebbe una rapida disamina delle infinite possibilità di cooperazione dal basso e nel piccolo che da’ la rete per capire le potenzialità in senso cooperativo della logica dei networks…
Dice niente a noi di sinistra?
Serve una analisi di questo capitalismo
Bauman, in una recente intervista, afferma che la crisi che sta vivendo la politica in Europa non ha precedenti e non ha archivi ai quali attingere per le ricette che servono. Il passato sta lasciando il posto alla costruzione permanente del futuro. La sfida è sulla capacità prospettica e sulla coerenza tra quello che viene prospettato e quello che si realizza (incarnando su se stessi l’idea che si vuole affermare…).
Le tre grandi novità del capitalismo del ‘900
L’esplosione del valore dell’informazione nella produzione (processi di automazione crescente resa possibile dal digitale; sussunzione nel capitale fisso di una massa crescente di conoscenza, tendenza verso il General Intellect).
L’esplosione della de-materializzazione (resa possibile dai processi di digitalizzazione); due grandi campi si sono aperti: la smaterializzazione della moneta (processo di esplosione della economia monetaria e della produzione di denaro per mezzo di denaro) e la nascita delle merci immateriali, del valore dei marchi (senso del conusmo), la possibilità di intervento delle tecno-scienze (nanotecnologie, biotecnologie su vivente e umano).
L’affermazione dell’industria di senso, la prima industria della storia che produce profitto nella costruzione del senso della vita.
Il capitalismo di questo secolo, passa sopra i corpi e le menti. Sa reinterpretarne il loro senso e offrirlo sul mercato. Sono i corpi a diventare, progressivamente, elementi aggiuntivi del ciclo produttivo e del consumo. Sono le menti ad essere ri-strutturate cognitivamente e diventare elementi dell’alveare che presiede al pensiero unico.
Serve una proposta che apra nuovi gradi di libertà come orizzonte
La sinistra deve essere capace di leggere questo nuovo capitalismo, capirne le nuove contraddizioni (le libertà promesse ma negate dagli assetti dei rapporti di produzione) e indicare la via per realizzare quelle che vanno verso i nostri terreni (uguaglianza, libertà e oggi direi privacy, sostenibilità). Tutto questo potrebbe essere contenuto nella proposta del Welfare delle Relazioni, intendendo con esso la complessità della dimensione delle scelte.
Serve un nuovo gruppo dirigente coerente con questa analisi
Inutile fare il patchwork di ciò che era la sinistra. Tutti pezzi nobili e tutti insediati nel loro specifico specialismo (che spesso si è tradotto in controllo di un territorio, di una tematica, di un’area, talvolta di una idea). Nessun infingimento su soluzioni salvifiche (riscopriamo il territorio… o mettiamo al centro quella o questa tematica…): serve la complessità, serve la costruzione del “senso di marcia”, seve poter attingere alle competenze individuali non come riconoscimenti individualistici, ma come contributi al tutto.
Serve, quindi, un gruppo dirigente che condivida la nuova analisi critica, sappia indicare con le proprie competenze i confini del nuovo orizzonte da costruire, serve un gruppo dirigente che sappia incarnare ciò che vuole costruire, che si senta parte del popolo in marcia, che sia percepibile come un pezzo consapevole ma non separato.
Serve rompere con cerchi magici e schemi piramidali.
Siamo stati contagiati dal meccanismo delle preferenze (nelle elezioni locali e regionali) per poter pesare nei meccanismi di nomina al parlamento. C’è una generazione nuova che conosce la politica solo come capacità di mettere insieme le relazioni che servono ad avere pacchetti di preferenze da giocare nel “mercato dei partiti”. Quando quel contenitore partitico non garantisce più ciò che si ritiene giusto per sé… allora si migra ad un contenitore migliore, portandosi dietro il proprio gruppetto di pressione e i pacchetti di voti. Gli incarichi pubblici devono servire a garantirsi le risorse per far funzionare la propria “macchina politica” dentro, intorno e fuori dai partiti di turno. Bisogna avere il coraggio di rompere con tale schema. Solo un gruppo dirigente che rifugge da tali pratiche può essere coerente nella lotta per un altro modello sociale e politico.
Anche nella vita di tutti i giorni, servono comportamenti del gruppo dirigente non solo “trasparenti e coerenti”, ma che sappiano recuperare una impostazione culturale aggiornandola (acquisti ai GAS, Km 0, no ristoranti lussuosi, niente barche, niente sfarzi, non serve la vita monacale, ma la vita “normale”).
Servono modelli di partecipazione attiva
I modelli di partecipazione devono essere certi, trasparenti. I partecipanti all’’intrapresa devono essere protagonisti delle scelte e avere la percezione che è il gruppo dirigente centrale a “cedere” sovranità verso il basso, ma senza indulgere su populismi vari. Certezze e capacità decisionali con relative responsabilità. I modelli di rete sono importanti non perché siano gli strumenti informatici a fornire la motivazione ma perché le logiche sociali che depositano nelle relazioni non possono più essere ignorati. Ma questo non significa che non debba esserci un gruppo dirigente. Anzi.