Rivoluzione digitale (2)

In Europa il compromesso socialdemocratico mostra la corda, ha perso l’anima, il senso della propria funzione. La transizione possibileseconda parte del contributo di Sergio Bellucci

Il taylorismo digitale oltre ad essere più pervasivo di quello esistente nella fase meccanica, ha indebolito le strutture difensive che il movimento operaio si era conquistato con lotte faticose. Con una risposta breve potrei dire solo, si. Ma in realtà le cose non stanno semplicemente così. I processi, per fortuna o per sfortuna, sono sempre più complessi. Quella del lavoro e del taylorismo digitale (che tra l’altro sta evolvendo velocemente verso esiti ancora più alti di innovazione dei processi di organizzazione del lavoro) è solo la trasformazione socialmente più rilevante. Gramsci, nelle pagine dedicate ad Americanismo e Fordismo, affermava che il fordismo forgiava l’uomo di cui aveva bisogno. Con quelle parole ci annunciava una verità sempre più fondamentale per le forze che si propongono delle trasformazioni politiche consapevoli e profonde. Gramsci ci diceva che il processo produttivo forgia l’umanità di cui ha bisogno. Produce una cultura, un ambiente, una società atta a “sopportare” lo schema della produzione imperante in quella fase. Ma in quella fase la differenza tra lo schema delle ore di lavoro e quello delle ore della socialità era ancora diverso. Il digitale sta producendo un “ambiente unico”, uno schema totale. Nuove forme di lavoro che non esistevano in precedenza e che la sinistra e in particolare gli economisti della sinistra, non riescono né a vedere né ad inserire nei loro schemi del ‘900. Penso ad esempio a quello che io chiamo il Lavoro Implicito e di cui ho parlato sempre nel mio E-Work. Insomma la trasformazione non è puntuale ma sistemica. Ho chiamato questo schema che sta emergendo come il processo di “terraformattazione capitalistica” del pianeta. E per questo serve uno schema “complesso”… Ho preso al riguardo in prestito un neologismo dagli scienziati spaziali. Gli scienziati che si occupano dei viaggi spaziali e della possibilità di vivere su altri pianeti, infatti, hanno coniato questo termine per indicare tutte le cose che vanno compiute per trasformare l’ambiente di un pianeta per renderlo abitabile dall’uomo. È quello che stanno pensando di fare con Marte.

Tutto quello che non può essere digitalizzato non serve, è uno scarto

Quello che è in atto è proprio un processo di produzione di un ambiente “totale” all’interno del quale l’uomo deve vivere. Tutto quello che non è all’interno del processo di valorizzazione del capitale semplicemente… non serve, diviene uno scarto. E paradossalmente questo coincide sempre più con il processo di digitalizzazione del mondo. Tutto quello che non può essere digitalizzato è uno scarto perché sfugge al processo di totale controllo che si sta generalizzando nel mondo. Perché pensa che si stia lavorando alle Smart Cities?Perché serve estendere il controllo dei processi di scambio che avvengono, istante per instante, nelle e fra le vite delle persone. Solo così sarà possibile continuare a valorizzare il capitale circolante. Tutto ciò che non è matematizzabile diviene un orpello, un peso, uno scarto. Ma questo attiene alla seconda novità del capitalismo di questo secolo. È il punto estremo della novità, quello sul quale il capitale sta lavorando in questi anni. Tutto è iniziato con la possibilità di smaterializzare il ciclo produttivo e introdurre una nuova forma di merce, quella immateriale.

Non solo merce immateriale, con essa si è prodotto un ciclo immateriale

Non solo merce immateriale. Con essa, infatti, si è prodotto un ciclo produttivo totalmente nuovo, il ciclo immateriale. La prima grande applicazione di tale processo è proprio la smaterializzazione della moneta. Il capitale finanziario, quando ha incontrato il digitale, si è trasformato, si può dire che è diventato adulto ed  ha esteso la sua potenza sul mondo. Ma ciò che è pervasivo ancor di più è la  logica sottostante, la logica che ha abilitato la trasformazione della finanza. Questa logica, infatti, riesce ad innervare tutti i processi ed estendersi al resto della vita. Appunto “terraformattando” il pianeta. Il ciclo legato alle potenzialità del digitale è un ciclo che può avere bisogno di un supporto fisico sempre più marginale. La moneta è addirittura arrivata ad avere smaterializzato oltre il 90% della sua forma esistente. Ma il ciclo immateriale riguarda flussi di comunicazione destinati agli umani, flussi di informazione necessari alla produzione di altre merci materiali o immateriali che siano. Paradossalmente tutto diviene merce e tutta la nostra vita diviene lavoro. Anche quando le persone non ne sono consapevoli. Appunto come accade con il lavoro implicito. Ogni nostro atto nell’ambito della vita inserita nell’era digitale diviene un atto di produzione di informazioni e, quindi, di un valore sul mercato digitale. Il mondo dei Big Data, l’estrazione di informazioni sui nostri comportamenti, di vita, di consumo, di lavoro, è uno dei grandi business che cresce ogni anno a due cifre. I sindacati dovrebbero interrogarsi su come è cambiato il lavoro e provare a produrre conflitti di nuova generazione altrimenti rischiano una sconfitta strategica.

Quando negli Usa nasce l’industria che lavora nella produzione di “senso della vita”

Il digitale sta abilitando un mondo diverso dal precedente. Il passaggio è un passaggio di paradigma. Molto più di una semplice “rivoluzione”. Ma tutto questo si intreccia con una novità ulteriore. Nel ‘900, proprio durante la grande crisi del ‘29, si forgiò una  novità che ha innervato tutto il secolo e che rappresenta una novità storica impressionante In quegli anni, negli USA, nacque quella che io chiamo l’Industria di Senso. L’industria che lavora nella produzione del “senso della vita”, la modalità con la quale noi percepiamo “naturale” vivere con lo schema del modello di consumo che troviamo nei supermarket di tutto il mondo. Non è detto che il cerchio si stia chiudendo. Dipende dalle forze che vogliono continuare a puntare sull’uomo. Non tutto, infatti, può essere programmato. Vorrebbero che fosse così. Ma non lo è. Ci sono individui e forze che si stanno schierando, dopo svariati decenni di accecamento, su trincee nuove.

La chiesa di Papa Francesco. Forme nuove della politica e delle rivendicazioni

Penso alla Chiesa di Papa Francesco, ad esempio. Ma non solo. Ci sono fenomeni che stanno girando in positivo quello che il digitale comporta. Le logiche del web 2.0, ad esempio, sono logiche che poggiano su alcuni assi storici della cultura della sinistra: condivisione, cooperazione, consapevolezza, creatività, collaborazione, autogestione sono a fondamento del digitale 2.0, ma sono parole e pratiche antiche della cultura della sinistra e germoglieranno presto in forme nuove della politica e delle nuove forme di rivendicazione. Andremo al di là della semplice “rivendicazione” di spazi e diritti ad un potere che rimane inamovibile e centrale. Stiamo andando verso forme nuove di appropriazione di spazi di vita che possono uscire dallo schema classico del capitalismo, quello della produzione di valore di scambio, cioè di merci. Stiamo entrando in un’era della vita in cui le tecnologie e le pratiche sociali che si stanno diffondendo, aprono alla possibilità di produzione diretta di valore d’uso. Una vera e propria realizzazione diretta di nuove forme di produzione, di scambio, di dono, di consumo, di relazione. E così via. Questa è la forma della Rivoluzione del XXI secolo.

La socialdemocrazia nasce con la consapevolezza che all’interno dello schema capitalistico non possa prodursi il processo di liberazione e di consapevolezza dell’uomo. Per questo è nata e questa esigenza non è stata cancellata dal periodo d’oro del Welfare State. Certo, per quel periodo transitorio della storia del ‘900 è sembrato che fosse possibile una “sintonia di intenti” tra capitale e movimenti socialisti, almeno nel ristretto novero dei paesi europei. Al di fuori di tale perimetro mi sembra che il successo del modello sia stato scarso o addirittura nullo. Ora anche all’interno dei confini europei quel compromesso mostra la corda, non riesce né a distribuire ricchezza attraverso il lavoro e il welfare, né a garantire la percezione di un senso di marcia sociale della storia umana. Sembra aver smarrito, nella semplice opera di gestione amministrativa, il senso della propria funzione. Quindi ha perso l’anima, la forza derivante dall’interpretazione di bisogno di trasformazione radicale del mondo.

La politica necessita di adeguate analisi. Serve un nuovo inizio ma non partiamo da zero

Ma intorno alle novità che si schiudono all’interno delle innovazioni prodotte dal capitale, riemergono nuove esigenze, nuovi bisogni, nuove pratiche. La politica rinasce sulle contraddizioni nuove, necessita delle analisi adeguate a comprendere le innovazioni economico-sociali e di un gruppo dirigente in grado di socializzare queste nuove acquisizioni. In Europa, alla sinistra, serve un processo di questo livello. E questa necessità può oggi prefigurare un superamento delle divisioni otto-novecentesche della sinistra. Serve un nuovo inizio. Una parte dei partiti comunisti europei negli anni ’70 del secolo scorso compresero che il modello sovietico non era in grado di rappresentare un modello politico, economico e sociale per l’Europa e forse per il mondo intero. Ricordiamoci, infatti, che la proposta arrivò a contagiare partiti comunisti fino al Giappone.

Il crollo del modello dell’Eurocomunismo, prima di quello del muro di Berlino

Ma il modello dell’Eurocomunismo cadde prima del crollo del muro. La necessità era stata individuata ma la ricetta non riuscì a mettere le radici per molte ragioni. Alcune erano legate alle novità del mercato capitalistico che stavano arrivando; penso, ad esempio, all’arrivo in Europa dell’industria di senso a partire dal 1980 con l’arrivo della televisione commerciale prima in Italia, poi in Francia e poi nel resto dell’Europa. Altre, alle sconfitte del movimento operaio di quella fase, penso alla marcia dei 40.000 della Fiat in Italia e alla lotta dei minatori in Gran Bretagna. Il resto lo stava facendo lo scontro politico nei vari paesi ove le forze conservatrici stavano poggiando sulla rinnovata funzione della finanza che le tecnologie digitali stavano facendo diventare non solo globali, ma automatiche e in tempo reale. In altre parole, l’esigenza di coniugare democrazia politica e democrazia economica, di costruire una società politica, fondata sui partiti ma permeabile dalle istanze della società, una società ove i diritti sociali e civili avrebbero potuto poggiare uno sull’altro per aumentare il grado di libertà dell’individuo ma non a scapito della collettività, una proposta, per dirla con uno schema tutto politico, ove democrazia e socialismo potessero incontrarsi nella possibilità di forgiare un uomo consapevole e sociale, questa essenza dell’eurocomunismo si andò ad infrangere sulle nuove dinamiche del capitalismo che stava mutando e sulla cecità dei vecchi regimi sovietici. Gorbaciov arrivò troppo tardi e troppo debole per poter giocare di sponda con questa proposta innovativa. Enrico Berlinguer era già morto e l’Eurocomunismo era stato archiviato, di fatto, dal Partito Comunista Francese.

Il tentativo di rileggere il conflitto tra movimento operaio e capitale

L’Eurocomunismo era il tentativo di rileggere il conflitto tra movimento operaio e capitale alla luce delle acquisizioni che si stavano conquistando nei modelli sociali ove esisteva il welfare state. Fu importantissimo perché apriva alla consapevolezza che non si inseguiva un modello precostituito, schematicamente assunto. Oggi quella fase è superata e non è riproponibile. Le nostre società sono diverse da quelle degli anni ’70 del secolo scorso. La composizione delle classi è diversa, le forme della politica sono mutate. Il capitalismo finanziario ha imposte forme produttive e luoghi decisionali che prima non esistevano. Le forme del potere sovranazionale e, spesso, totalmente a-democratiche, hanno un ruolo preponderante rispetto ai parlamenti e alle istituzioni del secolo scorso. Ma le motivazioni della proposta, l’idea di una società a dimensione più umana,rimangono inalterate. E la proposta di costruire una politica capace di trasformare il mondo e portarlo al di là dei limiti del capitalismo e di farlo con un processo democratico, con la costruzione del consenso, sono ancora tutte valide. Io chiamo questa necessità la “transizione possibile”.

Sergio Bellucci, presidente associazione Net Left

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